Il concordato preventivo con continuità aziendale

A partire dal 2005 il diritto concorsuale e più in particolare gli strumenti di composizione della crisi sono stati oggetto di molteplici interventi normativi, che in più occasioni hanno rivisitato le disposizioni contenute nella legge fallimentare. Le modifiche intervenute hanno progressivamente eroso la sistematicità dell’impianto del 1942 e la sovrapposizione degli interventi ha prodotto un provvedimento normativo frammentario, non sempre di facile interpretazione uniforme.

Di qui la necessità di rivisitare integralmente la materia, al fine di restituire sistematicità e organicità alla disciplina nonché di includere le innovazioni che l’esperienza giudiziaria di questi anni di crisi ha messo in evidenza.

Con il Dlgs 12 gennaio 2019 n. 14 pubblicato definitivamente in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio 2019 è stato emanato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza la cui entrata in vigore è stata differita al 1° settembre 2021 a seguito dell’emergenza provocata dalla pandemia COVID-19.

Tra le maggiori novità introdotte, particolare rilievo riveste la disciplina del concordato preventivo, istituto, questo, che è via via divenuto nei fatti la procedura di maggior uso.

La disciplina del Capo III (concordato preventivo) del Titolo IV (Strumenti di regolazione della crisi) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza esordisce con una norma – l’articolo 84 – rubricata “finalità del concordato preventivo”, il cui comma 1 stabilisce che con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio.

Finalità del concordato con continuità aziendale

L’impianto generale del Codice della crisi e dell’insolvenza appare improntato a favore dell’istituto concordatario quando l’utilizzo dello strumento sia volto a garantire la continuità aziendale.

Come già nel sistema della legge fallimentare la finalità del concordato in continuità aziendale è sorretta dalla clausola generale della miglior soddisfazione dei creditori, che è l’interesse prioritario tutelato. La continuità aziendale non risulta pertanto essere il valore da tutelare bensì lo strumento per mezzo del quale perseguire la migliore soddisfazione dei creditori.

 Finalità del concordato preventivo
1.L’interesse al concreto risanamento dell’impresa
2.L’interesse alla vera conservazione dei complessi aziendali
3.La salvaguardia della forza lavoro quale misura della continuità
  1. L’interesse al concreto risanamento dell’impresa

Il legislatore della riforma amplia il perimetro del concetto della continuità aziendale prevedendo infatti forme di continuità diretta e indiretta come quanto indicato dall’articolo 84 al comma

La sussistenza dei requisiti del concordato con continuità aziendale postula che alla base del processo di risanamento sia posto un piano industriale economico e finanziario che abbia l’attitudine non solo al miglior soddisfacimento dei creditori, ma anche a creare quelle condizioni di equilibrio di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario che qualora non sussistenti creerebbero quei presupposti di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n.39/2010 e 7 del D.M n. 261/2012 (Codice per l’attivazione delle procedure di allerta).

Sostanzialmente la procedura di concordato in continuità aziendale deve condurre a un effettivo risanamento dell’impresa al termine del periodo sotteso al piano, la prosecuzione dell’attività dell’impresa dovrà contestualmente avere creato sia le condizioni per il soddisfacimento dei creditori concorsuali di equilibrio richieste a una entità sana in grado di operare sul mercato in modo fisiologico.

2. L’interesse alla vera conservazione dei complessi aziendali

L’ipotesi concordataria con continuità aziendale di tipo indiretto evidenzia una ulteriore finalità rappresentata dalla conservazione, almeno parziale, della forza lavoro impiegata nell’impresa.

Con l’intento di scoraggiare atteggiamenti opportunistici il legislatore ha quindi introdotto la necessità che il soggetto, diverso dal debitore, in capo al quale l’azienda è destinata a proseguire nell’esercizio, si faccia carico di garantire per almeno un anno dall’omologazione la salvaguardia di una quota qualificata dei lavoratori dell’impresa trasferita. La relazione illustrativa afferma che in tal modo si è voluto assicurare l’effettività della dimensione oggettiva della continuità, che costituisce il valore aggiunto in ragione del quale il concordato in continuità è privilegiato rispetto alle proposte meramente liquidatorie.

Lo scopo di questa previsione normativa è quello di disciplinare le ipotesi di piani di risanamento in cui la strategia si basi non solo sulla prosecuzione dell’attività di impresa ma anche sulla dismissione di asset non funzionali alla stessa. Ecco allora che il discrimine tra concordati con continuità e concordati liquidatori è legato alla prevalenza dei flussi da destinarsi alla soddisfazione dei creditori generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa rispetto ai flussi generati dalle dismissioni.

Nel complesso appare duplice la finalità della norma in commento:

Creare un incentivo alle ipotesi concordatarie che prevedono la conservazione dei valori aziendali;

Creare condizioni per cui i benefici del concordato con continuità siano riconosciuti unicamente qualora consenta un significativo aumento delle risorse destinabili al soddisfacimento dei creditori.

3. La salvaguardia della forza lavoro quale misura della continuità

La salvaguardia del lavoro pone in secondo piano l’eventuale insufficienza dei flussi della continuità aziendale posti al servizio del debito, condizione questa che lascerebbe spazio all’alternativa liquidatoria.

Nel concordato liquidatorio l’apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il 10% rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale il soddisfacimento dei creditori chirografari. Nella norma è invece disciplinata una presunzione di legge in virtù della quale “la prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale son addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”.

La presunzione di prevalenza opera sia in ipotesi di continuità diretta che in ipotesi di continuità indiretta.

Le principali novità introdotte dal legislatore

Preliminarmente, occorre precisare che il legislatore, quale presupposto oggettivo di accesso al beneficio del concordato preventivo, ha previsto tanto lo stato di crisi, quanto quello dell’insolvenza.

Si evidenzieranno di seguito i profili maggiormente innovativi introdotti dal codice con riguardo al concordato preventivo con continuità.

  • Natura della continuità: il comma 2 dell’articolo 84 del Codice precisa la possibile natura della continuità come diretta o indiretta. Nel primo caso, la stessa è realizzata dal debitore mentre vengono previste molteplici modalità di estrinsecazione della continuità indiretta ossia: la cessione al terzo dell’azienda, la sua concessione in usufrutto, il suo conferimento in una o più società, anche di nuova costituzione, la stipulazione di un contratto d’affitto. Al fine, però, di evitare indebite strumentalizzazioni del concordato preventivo in continuità indiretta e, dunque al fine di assicurare l’effettività della dimensione oggettiva della continuità, il legislatore ha previsto specifici requisiti dimensionali e temporali. In particolare, l’articolo 84, comma 2, sancisce che la continuità indiretta debba assicurare “il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricordo, per un anno dall’omologazione”.
  • Piano concordatario: tanto nell’ipotesi di continuità diretta, quanto in quella di continuità indiretta, l’articolo 84, comma 2 impone che il piano concordatario dia conto della funzionalità della prosecuzione dell’attività ad assicurare “il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci” evidenziando come l’interesse dell’imprenditore a risanare l’impresa debba necessariamente essere accompagnato da un medesimo interesse dei creditori a che tale impresa sia operativa.
  • Criterio della prevalenza: il piano concordatario in continuità viene frequentemente strutturato come concordato “misto”, mediante l’inserimento di previsioni di dismissione dei beni non funzionali dalla cui vendita trarre provvista da destinarsi al finanziamento delle attività d’impresa o alla soddisfazione dei creditori. Il tema principale è quello di verificare che la quota “in continuità” sia prevalente rispetto all’altra onde evitare la proposizione di concordati sostanzialmente liquidatori mascherati da concordati in continuità al solo fine di godere della disciplina di favore a questi ultimi accordata. L’articolo 83, comma 3, introduce il criterio della prevalenza limitando l’ammissibilità del concordato in continuità ai soli casi in cui i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale, diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. Per quanto riguarda la valutazione della prevalenza, il legislatore ha evidentemente sposato la tesi del criterio quantitativo, in forza del quale la prevalenza si determina mettendo a confronto i flussi di cassa ritraibili dall’esercizio dell’attività aziendale con quelli derivanti dalla dismissione dei beni non funzionali. La medesima disposizione precisa che, la prevalenza si considera sempre sussistente quando “i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”.
  • Moratoria: l’istituto, già previsto dall’articolo 186 bis, comma 2, lettera c) legge fallimentare, era stato introdotto al fine di consentire al debitore l’impiego dei flussi originati dalla continuità aziendale per la gestione dell’impresa; in assenza di moratoria, infatti, le utilità rinvenienti dalla continuità aziendale avrebbero dovuto essere impiegate per soddisfare, integralmente o parzialmente, i creditori privilegiati o muniti di pegno o ipoteca. La norma in esame, innovando la disciplina di cui all’articolo 186 bis, comma 2, lettera c) legge fallimentare, ha, innanzitutto, modificato la durata massima della moratoria, estendendola da un anno a due anni e, in secondo luogo, ha ammesso i creditori interessati al voto per la misura corrispondente alla differenza tra il loro “credito maggiorato degli interessi legali e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall’articolo 5 Dlgs 231/2002, in vigore ne semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo”.
  • Autorizzazione al pagamento dei crediti pregressi: il legislatore ha stabilito che nell’ipotesi di continuità aziendale, il debitore può chiedere al tribunale di essere autorizzato a pagare i crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi ai fini del soddisfacimento dei creditori. L’attestazione in questione non è invece necessaria nell’ipotesi in cui l’estinzione dei debiti pregressi avvenga nella misura della cd. nuova finanza apportata dal debitore a fondo perduto, ovvero senza obbligo di restituzione o con previsione di postergazione. Tale facoltà è subordinata ad almeno due condizioni: in primis, occorrerà che, alla data di presentazione della domanda di concordato, il debitore abbia adempiuto alle proprie obbligazioni o che il tribunale lo abbia autorizzato al pagamento del debito per capitale e interessi scaduto e inoltre che un professionista indipendente attesti la non lesività per diritti dei creditori, del rimborso delle rate a scadere.

Gessica Rizzo