Affitto e cessione d’azienda nella crisi d’impresa: strumenti per continuità e tutela

Affitto d’azienda e cessione d’azienda come strumenti per il salvataggio dell’impresa

L’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha ridefinito il ruolo degli strumenti negoziali funzionali alla conservazione del valore aziendale nelle situazioni di difficoltà economico-finanziaria. Tra questi, l’affitto e la cessione d’azienda rappresentano due leve decisive per garantire la continuità operativa, preservare i livelli occupazionali e massimizzare il soddisfacimento dei creditori.

Scenari applicativi nel Codice della Crisi d’Impresa

Composizione negoziata e contratti aziendali durante crisi

La circolazione dell’azienda, secondo il Codice della Crisi d’Impresa, può manifestarsi in forme differenti e collocarsi in fasi molto diverse del percorso di risanamento. In concreto, si incontrano scenari che spaziano dalla cessione in liquidazione giudiziale — talvolta complicata dall’esistenza di un precedente affitto, che obbliga il curatore a scegliere tra subentro o scioglimento del contratto — fino a ipotesi in cui l’impresa viene affittata o ceduta prima ancora dell’accesso a uno strumento di regolazione della crisi. Vi sono poi situazioni intermedie: l’affitto o la cessione all’interno della composizione negoziata oppure la cessione preceduta da un contratto di affitto in concordato preventivo o in un piano di ristrutturazione omologato.

Questa pluralità di configurazioni operative riflette un presupposto essenziale: prima di qualsiasi trasferimento definitivo o temporaneo, è necessario verificare se l’impresa, dopo la ristrutturazione del debito, possa ancora produrre flussi di cassa sostenibili, adeguati tanto a soddisfare i creditori quanto a garantire, direttamente o indirettamente, la permanenza dell’azienda sul mercato. Senza questa prospettiva di continuità aziendale, l’utilizzo dell’affitto o della cessione rischia di trasformarsi in un artificio, mediante il quale l’imprenditore tenta di procrastinare la prosecuzione dell’attività confidando in un improbabile recupero spontaneo.

Affitto d’azienda nella crisi d’impresa: disciplina e vantaggi operativi

L’affitto d’azienda in crisi trova applicazione in diversi strumenti per il salvataggio dell’impresa, come il concordato preventivo, la composizione negoziata e la liquidazione giudiziale, consentendo continuità aziendale attraverso una gestione provvisoria dell’attività economica.

L’affitto d’azienda è disciplinato dagli articoli 2561 e 2562 del Codice Civile, che regolano rispettivamente la locazione dell’intero complesso aziendale e quella di singoli rami. Si tratta di un contratto attraverso il quale il titolare (locatore) cede l’utilizzo dell’azienda a un soggetto terzo (conduttore), il quale si impegna a gestirla secondo modalità concordate, corrispondendo un canone periodico. L’affittuario acquisisce il diritto di utilizzare i beni aziendali per l’attività produttiva, assumendo la gestione dei dipendenti e le responsabilità dell’ordinaria amministrazione.

Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza (CCII) – introdotto con il D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, successivamente più volte modificato – il legislatore ha rafforzato un modello orientato alla conservazione dell’impresa e alla risoluzione delle difficoltà economico-finanziarie.

In questo contesto, l’affitto d’azienda rappresenta una delle soluzioni perseguite per il superamento della crisi di impresa e il Codice della Crisi e dell’Insolvenza ne offre una disciplina articolata, adattandolo alle finalità proprie di ciascuno strumento. Nel contesto della composizione negoziata, esso viene qualificato come atto di straordinaria amministrazione, sottoposto al controllo dell’esperto secondo quanto previsto dall’art. 21 CCII. Nel concordato preventivo, l’istituto assume una funzione significativa in presenza di continuità indiretta, poiché l’art. 84, comma 2, consente che la gestione dell’azienda da parte di un terzo avvenga anche tramite un affitto stipulato prima della domanda, purché la strumentalità rispetto al ricorso sia esplicitata nel contratto. In particolare, i commi 2 e 3 dell’art. 84 CCII stabiliscono quanto segue:

2. La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo.

3.         Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”.

In tale ambito, viene valorizzato il principio di concorrenzialità: l’art. 91 estende all’affitto la disciplina delle offerte concorrenti, mentre l’art. 94, comma 5, impone procedure competitive, previa stima e pubblicità adeguata.

La stipula di un contratto di affitto-ponte prima della domanda di concordato può consentire di evitare la gara competitiva prevista dall’art. 91, comma 2, CCII, semplificando la transazione.

Nel contesto della liquidazione giudiziale, la disciplina varia: se il contratto è anteriore alla procedura, l’art. 184 permette al curatore di recedere con indennizzo; se l’affitto è stipulato dal curatore, l’art. 212 CCII disciplina l’affitto nell’ambito dell’esercizio provvisorio, introducendo criteri per la selezione dell’affittuario e clausole di salvaguardia per tutelare sia la continuità aziendale sia gli interessi della massa creditoria.

Cessione d’azienda durante la crisi: soluzioni e implicazioni

Cessione d’azienda nella composizione negoziata

La cessione d’azienda costituisce uno strumento cardine del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Essa consente di perseguire obiettivi essenziali quali la continuità dell’attività economica, la massimizzazione del valore aziendale, la tutela dell’occupazione e il miglior soddisfacimento dei creditori. Le modalità e gli effetti della cessione variano in base allo specifico istituto attraverso cui si affronta la crisi: composizione negoziata, procedure concorsuali e concordato preventivo.

Cessione d’azienda nella composizione negoziata

La cessione d’azienda consente transazioni aziendali durante crisi, favorendo la protezione dei creditori e garantendo continuità operativa.

Nella composizione negoziata trova ampio impiego la continuità indiretta mediante trasferimento dell’azienda a un terzo, soluzione che permette di superare i problemi legati al reperimento di nuova finanza, soprattutto da parte delle PMI. Tuttavia, per rendere l’operazione appetibile, è fondamentale garantire al cessionario l’esonero dalla responsabilità per i debiti pregressi risultanti dalle scritture contabili obbligatorie (art. 2560, comma 2, c.c.). L’art. 22 CCII consente tale deroga, restando invece fermo che la responsabilità del cedente per i debiti che il cessionario eventualmente si accolla (art. 2560, comma 1, c.c.) non può essere eliminata.

Sotto il profilo fiscale, il D.Lgs. 87/2024 ha esteso l’esonero da responsabilità solidale del cessionario anche alle cessioni effettuate nell’ambito della composizione negoziata, con effetto dal 29 giugno 2024, salvo operazioni fraudolente. L’Agenzia delle Entrate ha però sostenuto che l’esonero operi solo per violazioni commesse dal 1° settembre 2024, determinando effetti liberatori completi solo a partire dal 1° gennaio 2027; posizione contestata da dottrina e professionisti. Per le cessioni anteriori a tale data resta utile richiedere il certificato fiscale previsto dall’art. 14, comma 3, D.Lgs. 472/1997.

Diversamente dalle responsabilità civilistiche e fiscali, l’art. 2112 c.c. – che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i debiti verso i lavoratori – non può essere derogato nella composizione negoziata. Le deroghe previste dall’art. 47 L. 428/1990 sono infatti applicabili solo alle procedure concorsuali propriamente dette (liquidazione giudiziale, concordato liquidatorio, liquidazione coatta amministrativa), e non si estendono alla composizione negoziata.

Cessione d’azienda nelle procedure concorsuali aziendali

Nelle procedure concorsuali la disciplina della circolazione dell’azienda è stata significativamente rivisitata dal CCII, come rilevato dallo studio n. 41/2024 del Consiglio del Notariato. Una delle principali innovazioni è contenuta nell’art. 214, comma 3, CCII, che esclude la responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima del trasferimento, salvo patto contrario. Tale disposizione aumenta l’attrattività delle vendite aziendali in ambito concorsuale, riducendo i rischi per l’acquirente.

In questo contesto assume rilievo la procedura di informazione e consultazione sindacale (esame congiunto), volta a garantire la tutela dei lavoratori e a rendere possibili eventuali deroghe all’art. 2112 c.c., quando compatibili con la salvaguardia dell’occupazione e con gli obiettivi della procedura.

È inoltre possibile prevedere, nell’avviso di vendita, l’accollo di debiti ammessi allo stato passivo – come il TFR o mutui ipotecari su immobili compresi nel compendio aziendale – purché ciò non alteri la graduazione dei crediti. Tale soluzione rende l’azienda più appetibile e consente un miglior realizzo.

L’art. 216 CCII disciplina poi le modalità operative delle vendite, imponendo procedure competitive, adeguata pubblicità e, salvo eccezioni, utilizzo delle modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche.

La cessione d’azienda nel concordato preventivo

Nel concordato preventivo, la cessione d’azienda può avvenire anche senza offerente iniziale, secondo logiche di pianificazione giuridico-economica post crisi.

Nel concordato preventivo la cessione dell’azienda può assumere finalità differenti a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o con continuità aziendale. Nel concordato liquidatorio, l’art. 114 CCII richiama la disciplina della liquidazione giudiziale, applicabile anche alla vendita dell’azienda.

Nel concordato con continuità, la cessione può essere uno strumento di continuità indiretta: il prezzo può essere corrisposto mediante flussi generati dall’attività dell’impresa acquirente o attraverso forme di pagamento anticipate o garantite. L’acquirente può inoltre beneficiare delle regole sulla continuità dei contratti in corso.

Il terzo correttivo al CCII ha introdotto l’art. 114-bis, che disciplina le vendite quando il piano prevede la cessione dell’azienda senza un offerente già individuato. In tal caso, il Tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di creditori per vigilare sulle operazioni, che devono rispettare principi di efficienza, trasparenza e pubblicità. Se invece il piano indica già un soggetto offerente, la proposta deve essere pubblicata per consentire la presentazione di offerte concorrenti ai sensi dell’art. 91 CCII.

L’affitto e la cessione d’azienda, alla luce del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, si confermano strumenti centrali per la gestione e il superamento delle difficoltà economico-finanziarie dell’impresa. La loro funzione non è più soltanto quella di agevolare la liquidazione dell’attivo, ma si inserisce in una logica più ampia di salvaguardia della continuità aziendale, di tutela dell’occupazione e di massimizzazione del valore per i creditori.

L’analisi delle diverse discipline – nella composizione negoziata, nel concordato preventivo e nelle procedure concorsuali – dimostra come la circolazione dell’azienda sia oggi profondamente integrata nel percorso di risanamento. La scelta tra affitto e cessione, così come il momento in cui tali strumenti vengono utilizzati, dipende dalla concreta sostenibilità economica dell’impresa dopo la ristrutturazione e dalla possibilità di preservarne la capacità di generare flussi di cassa. In assenza di tale prospettiva, l’operazione rischia di trasformarsi in un mero espediente dilatorio, contrario alla logica stessa del CCII.

Il legislatore, con una serie di interventi mirati, ha delimitato responsabilità e tutele per tutti gli attori coinvolti, rafforzando da un lato la protezione del ceto creditorio e dei lavoratori, dall’altro l’attrattività delle operazioni per affittuari e cessionari. L’esonero del cessionario da responsabilità pregresse nelle procedure concorsuali, le aperture in materia fiscale nella composizione negoziata, l’enfasi sulle procedure competitive e sulla trasparenza delle operazioni, costituiscono elementi che favoriscono la partecipazione di investitori qualificati e la massimizzazione del risultato economico.

Domande frequenti sull’affitto e la cessione d’azienda in crisi d’impresa

1. Cos’è l’affitto d’azienda e quando si usa nella crisi d’impresa?

L’affitto d’azienda consente di preservare l’attività durante la crisi, assicurando continuità aziendale.

2. Quali sono i vantaggi della cessione d’azienda nel concordato preventivo?

La cessione d’azienda permette di massimizzare il valore per i creditori e garantire transazioni aziendali durante crisi.

3. L’affitto d’azienda evita la liquidazione giudiziale?

È uno degli strumenti per il salvataggio dell’impresa, particolarmente utile se integrato con una pianificazione giuridico-economica post crisi.

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Gessica Rizzo, Associate di Ca Restructuring (Member of CA Group)